Egea
Abitare la prossimità

Il libro di Ezio Manzini individua i pilastri su cui costruire un futuro a misura d’uomo, superando il modello della “città delle distanze” e offrendo un’alternativa credibile alla società “del tutto a/da casa”. Nel segno di impegno civico e nuove tecnologie.

La città dei 15 minuti? Per esistere (e resistere) deve fondarsi su tre pilastri fondamentali: comunità, cura e innovazione digitale. Concetti diversi, talvolta lontani, ma che non possono prescindere gli uni dagli altri nel dare vita a un futuro davvero a misura d’uomo.
Professore onorario al Politecnico di Milano ed esperto di design per la sostenibilità, Manzini parte dallo studio di esempi concreti (La ville du quart’heure, di Parigi, le Superillas di Barcellona, la Milano di WeMi e della riqualificazione delle periferie) per analizzarli e integrarli in una visione di insieme che permetta di costruire un modello di riferimento in grado di affrontare le sfide di oggi e di domani.
Una popolazione sempre più anziana, fragile e isolata da un lato, una realtà sempre più ibrida – in cui la dimensione fisica e quella digitale giocano a scambiarsi di ruolo – dall’altro, il tutto accelerato dalla crisi sanitaria innescata dalla pandemia: il disgregamento e la desertificazione sociale sono rischi sempre più concreti e chi sognava un felice superamento del modello novecentesco della “città delle distanze” potrebbe restare deluso. La società del “tutto a/da casa” che si sta affermando, infatti, sembra anticipare un futuro dominato dall’individualismo e dalla solitudine. Per costruire un’alternativa credibile non si può più aspettare ed è in quest’orizzonte che si colloca la “città della prossimità abitabile” proposta dall’autore.
Per raggiungerla il punto di partenza è la (ri)costruzione di una comunità in grado di rigenerarsi per durare nel tempo. Un’impresa possibile da un lato progettando le condizioni per un ambiente adatto dal punto di vista urbanistico e sociale; dall’altro producendo degli stimoli (come eventi e iniziative) che portino a generare incontri e avviare “conversazioni” da cui possano nascere nuove comunità. Una dimensione di prossimità, quindi, diversificata ed equilibrata tra la componente funzionale e quella relazionale.
Per farcela è necessario compiere un ulteriore passaggio e tornare a puntare sul senso di cura. Un concetto messo all’angolo dal pensiero dominante, che immagina la società come un insieme di individui sani e produttivi impegnati a competere e senza tempo da perdere, in cui la cura diventa un servizio professionale a cui ricorrere – come clienti – per essere riparati ed evitare così di essere scartati. Per tornare ad abitare la prossimità, al contrario, servirà una “città che cura”: un ecosistema di persone, organizzazioni, luoghi, prodotti e servizi che, nel loro insieme, esprimano una reciproca capacità di prendersi carico gli uni degli altri.
In quest’ottica giocheranno un ruolo chiave i nuovi servizi collaborativi distribuiti sul territorio, che potranno essere stimolo e infrastruttura di supporto delle nuove comunità come accaduto per i Circle inglesi, progetto nato per offrire cura reciproca e assistita a gruppi di anziani e rivelatosi poi capace di originare nuove comunità di luogo aperte alla partecipazione di professionisti e cittadini.
La relazione tra dimensione fisica e digitale sarà imprescindibile per dare vita alla città della prossimità. Il ritorno al passato, infatti, non sarebbe solo impossibile ma anche controproducente: la tecnologia non è mai neutra e, così come oggi proliferano soluzioni che spingono gli individui a isolarsi tra le mura domestiche, ne esistono molte altre in grado di favorire la solidarietà e facilitare la socialità. Un esempio? Le “social street” che consentono un primo contatto digitale tra individui che pur abitando vicino non si conoscono, al quale generalmente fa seguito un incontro di persona che talvolta porta a sviluppare progettualità comuni. Una natura ibrida, insomma, ma in grado di valorizzare il lato migliore di un’umanità alla ricerca di sè stessa e di una casa – anzi, di una città – in cui costruire il futuro.
Per molto tempo il tema all’ordine del giorno è stato: come far funzionare le cose pur essendo lontani, sempre più lontani”, spiega Manzini. “Ora dobbiamo porci il problema opposto: come far funzionare le cose essendo vicini, il più vicini possibile. Abbiamo scoperto che non è possibile affrontare i problemi alla scala maggiore senza partire da ciò che ci sta attorno. Crisi ambientali, sociali, economiche sono certamente il risultato di lunghe catene di interazioni, che possono estendersi anche molto lontano. Ma, quando arrivano a toccare la nostra esperienza e la nostra azione lo fanno in un sistema di prossimità, nello spazio fisico in cui ci troviamo e in cui ciascuno di noi opera e costruisce le proprie idee”.


 

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